lunedì 31 dicembre 2012

Dai posteri [Parte Prima]


Caro amico mio,

il tuo racconto, la tua “fotografia di realtà”, mi ha intristito. Ero pronto a narrarti di altri fantastici eventi riguardanti il Regno del Panino e il Cavaliere Nero, quando sono stato assalito da una profonda mestizia. Diciamo che mi hai rovinato le feste. Ma mi hai anche ricordato che, purtroppo, viviamo in un momento non affatto roseo della nostra storia. I problemi ci circondano e braccano, a me, te e a noi italiani, e probabilmente il vero motivo per cui non facciamo che peggiorare è che non esiste nessuno in grado di vedere oltre l’oscuro, nessuno che abbia una visione del futuro, della strada che dovrebbe salvarci dal declino. O, forse, nessuno che voglia spendere del tempo a pensare ed elaborare una idea, poiché è banale sollevare le masse in una continua opposizione al tutto, piuttosto che guidarle, istruirle, e condurle alla costruzione di qualcosa. Che può essere imperfetta e perfettibile, ma intanto è bene costruirla. La conseguenza della stasi intellettuale, causa dell’inazione, è quella che hai “narrativamente” riassunto tu: si perde la voglia di raccontare storie, o si perde addirittura del tutto la capacità di metterle insieme. Poi ci si svuota, si diventa esseri senza scopo travolti dalle faccende quotidiane cui ormai non si da valore, oppure si diventa vittime di vacuità mostruose fini a sé stesse. Vogliam forse ridurci così? Perdere l’ispirazione, che è motore interiore, significa perdere la propria esistenza. Significa non cogito, ergo non sum.

Il tuo racconto mi ha anche rievocato una esperienza personale accadutami qualche tempo fa. Ero occupato a studiare per gli esami dell’università, e precisamente della mia facoltà di ingegneria, un altro ambito per il quale il ragionar comune sostiene che il lavoro si trovi facilmente, anzi sembra quasi che ti venga a cercare. I miei genitori non erano in casa, così potevo vagabondare liberamente dalla cucina alla stanza da letto, dalla stanza da letto al solaio e dal solaio alla tavernetta, ripetendo i concetti principali dell’esame orale che avrei dovuto sostenere. È abbastanza complesso ripassare a mente i passaggi delle dimostrazioni matematiche, tuttavia l’attività riesce a donare un nonsoché d’autocompiacimento mentale, che poi sfocia in piena soddisfazione qualche minuto dopo. Ero quindi assorto, autocompiaciuto e soddisfatto, quando i miei timpani udirono un altro nonsoché di perturbante: un rumore insolito di caduta, proveniente dalla mia destra. Mi voltai ed osservai attento il caminetto (nel frattempo l’estasi matematica, ahimè, si dissolse). Sul focolare, generalmente vuoto perché i termosifoni hanno disoccupato i caminetti, c’era un sasso nero come la cenere e tondissimo. La perfezione della sua forma m’indusse ad indugiare: da dove arrivava quel sassolino che, ne ero sicuro, prima non c’era? M’introdussi nella pancia del camino per prenderlo tra le dita. Lo scandii in ogni suo centimetro quadrato, senza che nulla mi si rivelasse. All’improvviso sentii una strana energia impossessarsi della mano con cui lo reggevo, e poi spingersi fino al braccio e oltre la spalla. Rimasi immobile, come se qualcuno mi avesse legato. Poi le retine diventarono più sensibili alla luce diurna e fui costretto a chiudere gli occhi. Ma la vista non s’abbuiò. Iniziai a vedere… altro: un altro luogo, altre persone, altre luci; udii altri rumori: un passeggiare, uno scroscio d’acqua, un cantare sommesso e stonato oltre una porta. Compresi di essermi intrufolato nella vita di qualcun altro. Mentre aumentava la coscienza dell’accadere, aumentava l’incapacità di opporvisi. Il mio io si tuffò da qualche altra parte.

Splash! L’acqua, tiepida, avvolse le sue membra rilassandole. Tonino si sdraiò nella vasca da bagno come meglio poté, in modo da essere completamente sotto la superficie dell’acqua. Prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e immerse anche il volto. Almeno, con gli orecchi affogati, non era costretto a sentire la stonata riproduzione canterina che suo figlio, Andrea, s’ostinava ad eseguire dalla sua stanza. Pensava di cantare un pezzo metal. A Tonino sembrava che, il metallo, glielo stesse suonando dritto sul timpano. Tuttavia, in quegli abissi acquatici, il metallo non penetrava. Immaginò di essere nelle colorate acque tropicali, dove pesci d’ogni tinta sguazzano felici, protetti dai rumori della superficie. Avrebbe desiderato essere un pesce: tuffarsi sott’acqua e lasciarsi le delusioni e gli affanni alle spalle. Sguazzare via, tra un mare e l’altro, da un oceano al successivo, seguendo l’una o l’altra corrente… lo aveva desiderato, per la prima volta, quando aveva perso il posto di lavoro.
All’epoca Tonino era il supervisore alla produzione presso un’azienda locale che costruiva componenti elettronici ad alta tecnologia per i committenti. Egli s’occupava del delicato compito di controllare tutte le fasi della costruzione del componente, dalla progettazione alla sua realizzazione. Inoltre, era sua prerogativa fornire una analisi delle tolleranze di realizzazione e stimare gli indici di qualità del prodotto finito. In altre parole, il successo dell’azienda ricadeva in parte sulle sue spalle in quanto egli era il vero collante tra tutte le fasi aziendali.
Purtroppo, un bel giorno fu chiamato dal capo che gli disse <<Mi dispiace, Tonino, credimi mi dispiace, ma l’azienda non ha più bisogno di te.>>
Tonino lo guardò di sbieco. Come poteva, un’azienda, non avere più bisogno di uno dei suoi motori principali? <<Ho lavorato bene, i prodotti sono venuti fuori con qualità eccellente. Perché mai mi volete licenziare?>>
Il capo sorrise, mal celando l’imbarazzo. <<Purtroppo, credimi, mi dispiace, ma le nostre vendite non migliorano. Negli ultimi anni ci siano piazzati ai primi posti come contenuti tecnologici, ma, purtroppo, credimi, le vendite non vanno bene. Così in consiglio, credimi, mi dispiace, abbiamo deciso di tagliare l’organico. Meno teste e controllori, e più personale operativo. Purtroppo, credimi, la crisi ci impone soluzioni indesiderate…>>
La crisi. Una bella entità che s’erge a spauracchio dell’agire. Quando non si sa quali pesci pigliare, ecco apparire, dea ex machina, la parola crisi. Se va male a tutti, anche a noi, purtroppo credimi mi dispiace ma la crisi è la crisi. Mal comune mezzo gaudio, nel senso che i comuni mortali se la vedono brutta e una buona metà dei non comuni gode nel gaudio. La crisi che tutti subiamo e di cui nessuno è responsabile. L’economia va male per la crisi. La crisi è tale perché va male l’economia. L’economia va male perché c’è la mafia. La mafia aumenta nei periodi di crisi.
Quell’accozzaglia di frasi fatte e tautologiche aggredì il cervello di Tonino. Era ancora di fronte al capo, e s’accorse che per un paio di minuti buoni non aveva parlato, mentre il suo volto si contraeva in mille smorfie e tic di disprezzo ed ovvietà. S’alzò e andò via sbattendo la porta.
Tornato a casa, parlò con la moglie ed il figlio della situazione. La donna si disse pronta a supportarlo per i mesi a venire, che sarebbero stati difficili perché… beh, c’era la crisi. I posti di lavoro erano diventati rari come i panda e forse quasi in via d’estinzione come i panda. Tuttavia Tonino non si scoraggiò, e decise di tentare la sorte. Scartabellò montagne di annunci impressi sui quotidiani locali e, sorprendentemente, tra la folla di convocazioni per call-center, individuò un paio di possibilità interessanti.
Due giorni dopo si presentò al primo appuntamento con il capo di una società che si occupava della manutenzione di impianti elettrici. Purtroppo, la crisi era giunta anche in quel settore, come apprese dall’uomo che incontrò, un tipo risoluto e grassottello come si conviene ad un vero capo.
<<Lei è laureato?>> gli chiese.
<<No>> rispose Tonino.
<<Ah, bene, questo è già un punto a suo favore, signor Sabatino>> sbottò l’altro. Anche se involontariamente, il grassoccio interlocutore gli aveva ricordato lo scherzetto che i suoi genitori gli avevano giocato chiamandolo proprio Antonio. <<I laureati, oggi, sono troppo specializzati e, allo stesso tempo, troppo inesperti per lavorare sul serio.>>
<<Va bene, come le ho detto, non sono laureato. A malapena ho preso il diploma…>> accennò Tonino, sperando che almeno su quel titolo non ci fosse da ridire.
<<Ha esperienza nella progettazione di impianti?>>
<<No. Nella mia precedente azienda mi occupavo della supervisione della catena di lavoro, cioè progettazione/realizzazione/verifica.>>
<<Quindi non è in grado di progettare, né di realizzare, né di verificare?>> chiese l’interlocutore, aggrottando il sopracciglio destro.
<<Ho esperienza diretta nella verifica, ma non nelle altre fasi. Tuttavia, potrei svolgere il lavoro di supervisore, come facevo prima..>>
<<Mi dispiace, ma non ci interessa un supervisore. Qui sono io il supervisore. Mi occorre un progettista. Arrivederci.>>
Perlomeno, pensò Tonino, quell’uomo era stato deciso. Cercava una figura che egli non poteva interpretare. Pace. Avrebbe trovato qualcos’altro. Si recò al secondo appuntamento della giornata. Si trattava stavolta di una azienda agricola che cercava qualcuno che si occupasse della produzione di birra. Ma gli andò di nuovo male, perché desideravano una persona che avesse esperienza nel settore e lui non ne aveva. Vabbè, si disse, abbiamo tentato.
I giorni successivi individuò altri annunci e, nel farlo, si accorse che i richiami per i call-center occupavano sempre più colonne, insieme alla pubblicità dei compratori di oro, argento e gioie varie. Non fu affatto fortunato. Incontrò gente che richiedeva che fosse laureato, e lui non lo era. Si presentò a uomini che lo accusarono di essere troppo poco specializzato, e ad altri che lo additarono come troppo vecchio (a ben quarantadue anni). Incontrò altra gente che sostenne di volere soltanto neo-laureati, e lui non possedeva ambedue i requisiti. Conobbe datori di lavoro che stipulavano contratti da sei mesi soltanto, con la promessa che alla scadenza (di quanti semestri??) avrebbero valutato l’ipotesi di un contratto più lungo (di quanto più lungo??). Per di più, le paghe che gli furono offerte in ogni caso erano bassissime. C’è la crisi, cosa ti aspetti?
Ogni giorno tornava a casa distrutto e disilluso. Non c’era nessuno che, sospinto dalla crisi, tentasse di diradarla e sconfiggerla aumentando il personale, effettuando importanti investimenti o favorendo grandi cambiamenti. Tutt’altro. Proprio nel periodo di crisi, la grettezza delle manine imprenditoriali e politiche veniva fuori. Si rivelava, agli occhi di Tonino, un mondo in cui si ama troppo giocare sul sicuro, in cui alla prima scossa della terra ci si rifugia nei bunker ad aspettare, in crisi di paura, la fine del mondo. E lui, Tonino Sabatino, non si sentiva certo un eroe né avrebbe agito da eroe. Il disgusto per l’agire del mondo lo aveva imbambolato; nel disgustare, s’era fermato, dimenticando che quel ribrezzo nasceva proprio dalla stasi. Un bel giorno decise di non cercare più niente. Si sarebbe goduto la pensione da disoccupato fin quando durava, ed avrebbe atteso che lo Stato gli procurasse il posto di lavoro. Spese un gruzzoletto ad iscriversi a tutti quei partiti che sostenevano che lo Stato dovesse agire ripristinando i posti di lavoro persi per via della crisi.
Tonino sorrise, e l’acqua che lambiva le labbra s’increspò in piccole onde. Rimise fuori il naso per prendere un nuovo respiro e si reimmerse nei pensieri. Qualche giorno dopo la sua rassegnazione ad aspettare passivamente che la soluzione al suo problema scendesse dal cielo, venne a sapere che l’azienda che lo aveva licenziato era in bancarotta. Scoprì il motivo vero per cui i committenti non pagavano più. Praticamente, la sua azienda era nata da soldi pubblici investiti nello sviluppo tecnologico del territorio. L’azienda faceva parte di un gruppo di imprese che avevano ricevuto tali finanziamenti, e l’una commissionava i lavori all’altra in modo che il cerchio si autoalimentasse. Non avevano cercato di crearsi un mercato vero, confidando nel finanziamento pubblico. Quando i milioni di euro pubblici erano finiti, cioè qualche mese prima del suo licenziamento, finì anche il gioco. I dirigenti avevano cominciato a licenziare per salvare qualcosa e soprattutto per salvarsi loro. Tonino sorrise malignamente pensando alla massa di suoi ex-colleghi alla ricerca di un nuovo posto di lavoro. Tuttavia, quella fuga di notizie gli aveva fatto ripensare agli ultimi passi. Non poteva attendere uno Stato che gli trovasse una collocazione, quando, probabilmente, parte della crisi era scaturita proprio da uno Stato che aveva creato posti di lavoro caduchi ed evanescenti come miraggi. Come per la sua vecchia azienda. Non poteva. Doveva inventarsi qualcos’altro.
Con questa promessa nella mente Tonino si tirò su. Fiumi d’acqua abbandonarono il suo corpo e la schiuma gocciolò via dalla sua pelle. Riaprì gli occhi e la vista gli mostrò i colori contrastanti del bagno, in cui la luce della finestra lottava con le ombre della stanza.

continua...

Nessun commento:

Posta un commento