Caro amico mio,
il tuo racconto, la tua
“fotografia di realtà”, mi ha intristito. Ero pronto a narrarti di altri
fantastici eventi riguardanti il Regno del Panino e il Cavaliere Nero, quando
sono stato assalito da una profonda mestizia. Diciamo che mi hai rovinato le
feste. Ma mi hai anche ricordato che, purtroppo, viviamo in un momento non affatto
roseo della nostra storia. I problemi ci circondano e braccano, a me, te e a noi
italiani, e probabilmente il vero motivo per cui non facciamo che peggiorare è
che non esiste nessuno in grado di vedere oltre l’oscuro, nessuno che abbia una
visione del futuro, della strada che dovrebbe salvarci dal declino. O, forse,
nessuno che voglia spendere del tempo a pensare ed elaborare una idea, poiché è
banale sollevare le masse in una continua opposizione al tutto, piuttosto che
guidarle, istruirle, e condurle alla costruzione di qualcosa. Che può essere
imperfetta e perfettibile, ma intanto è bene costruirla. La conseguenza della
stasi intellettuale, causa dell’inazione, è quella che hai “narrativamente”
riassunto tu: si perde la voglia di raccontare storie, o si perde addirittura
del tutto la capacità di metterle insieme. Poi ci si svuota, si diventa esseri
senza scopo travolti dalle faccende quotidiane cui ormai non si da valore,
oppure si diventa vittime di vacuità mostruose fini a sé stesse. Vogliam forse
ridurci così? Perdere l’ispirazione, che è motore interiore, significa perdere
la propria esistenza. Significa non
cogito, ergo non sum.
Il tuo racconto mi ha anche
rievocato una esperienza personale accadutami qualche tempo fa. Ero occupato a
studiare per gli esami dell’università, e precisamente della mia facoltà di
ingegneria, un altro ambito per il quale il ragionar comune sostiene che il
lavoro si trovi facilmente, anzi sembra quasi che ti venga a cercare. I miei
genitori non erano in casa, così potevo vagabondare liberamente dalla cucina
alla stanza da letto, dalla stanza da letto al solaio e dal solaio alla
tavernetta, ripetendo i concetti principali dell’esame orale che avrei dovuto
sostenere. È abbastanza complesso ripassare a mente i passaggi delle
dimostrazioni matematiche, tuttavia l’attività riesce a donare un nonsoché d’autocompiacimento
mentale, che poi sfocia in piena soddisfazione qualche minuto dopo. Ero quindi
assorto, autocompiaciuto e soddisfatto, quando i miei timpani udirono un altro
nonsoché di perturbante: un rumore insolito di caduta, proveniente dalla mia
destra. Mi voltai ed osservai attento il caminetto (nel frattempo l’estasi
matematica, ahimè, si dissolse). Sul focolare, generalmente vuoto perché i
termosifoni hanno disoccupato i caminetti, c’era un sasso nero come la cenere e
tondissimo. La perfezione della sua forma m’indusse ad indugiare: da dove
arrivava quel sassolino che, ne ero sicuro, prima non c’era? M’introdussi nella
pancia del camino per prenderlo tra le dita. Lo scandii in ogni suo centimetro
quadrato, senza che nulla mi si rivelasse. All’improvviso sentii una strana
energia impossessarsi della mano con cui lo reggevo, e poi spingersi fino al
braccio e oltre la spalla. Rimasi immobile, come se qualcuno mi avesse legato.
Poi le retine diventarono più sensibili alla luce diurna e fui costretto a
chiudere gli occhi. Ma la vista non s’abbuiò. Iniziai a vedere… altro: un altro
luogo, altre persone, altre luci; udii altri rumori: un passeggiare, uno
scroscio d’acqua, un cantare sommesso e stonato oltre una porta. Compresi di
essermi intrufolato nella vita di qualcun altro. Mentre aumentava la coscienza
dell’accadere, aumentava l’incapacità di opporvisi. Il mio io si tuffò da
qualche altra parte.
Splash! L’acqua, tiepida, avvolse
le sue membra rilassandole. Tonino si sdraiò nella vasca da bagno come meglio
poté, in modo da essere completamente sotto la superficie dell’acqua. Prese un
respiro profondo, chiuse gli occhi e immerse anche il volto. Almeno, con gli
orecchi affogati, non era costretto a sentire la stonata riproduzione canterina
che suo figlio, Andrea, s’ostinava ad eseguire dalla sua stanza. Pensava di
cantare un pezzo metal. A Tonino sembrava che, il metallo, glielo stesse
suonando dritto sul timpano. Tuttavia, in quegli abissi acquatici, il metallo
non penetrava. Immaginò di essere nelle colorate acque tropicali, dove pesci
d’ogni tinta sguazzano felici, protetti dai rumori della superficie. Avrebbe
desiderato essere un pesce: tuffarsi sott’acqua e lasciarsi le delusioni e gli
affanni alle spalle. Sguazzare via, tra un mare e l’altro, da un oceano al
successivo, seguendo l’una o l’altra corrente… lo aveva desiderato, per la
prima volta, quando aveva perso il posto di lavoro.
All’epoca Tonino era il
supervisore alla produzione presso un’azienda locale che costruiva componenti
elettronici ad alta tecnologia per i committenti. Egli s’occupava del delicato
compito di controllare tutte le fasi della costruzione del componente, dalla
progettazione alla sua realizzazione. Inoltre, era sua prerogativa fornire una
analisi delle tolleranze di realizzazione e stimare gli indici di qualità del
prodotto finito. In altre parole, il successo dell’azienda ricadeva in parte
sulle sue spalle in quanto egli era il vero collante tra tutte le fasi
aziendali.
Purtroppo, un bel giorno fu
chiamato dal capo che gli disse <<Mi dispiace, Tonino, credimi mi
dispiace, ma l’azienda non ha più bisogno di te.>>
Tonino lo guardò di sbieco. Come
poteva, un’azienda, non avere più bisogno di uno dei suoi motori principali?
<<Ho lavorato bene, i prodotti sono venuti fuori con qualità eccellente.
Perché mai mi volete licenziare?>>
Il capo sorrise, mal celando
l’imbarazzo. <<Purtroppo, credimi, mi dispiace, ma le nostre vendite non
migliorano. Negli ultimi anni ci siano piazzati ai primi posti come contenuti
tecnologici, ma, purtroppo, credimi, le vendite non vanno bene. Così in
consiglio, credimi, mi dispiace, abbiamo deciso di tagliare l’organico. Meno
teste e controllori, e più personale operativo. Purtroppo, credimi, la crisi ci
impone soluzioni indesiderate…>>
La crisi. Una bella entità che
s’erge a spauracchio dell’agire. Quando non si sa quali pesci pigliare, ecco
apparire, dea ex machina, la parola
crisi. Se va male a tutti, anche a noi, purtroppo
credimi mi dispiace ma la crisi è la crisi. Mal comune mezzo gaudio, nel
senso che i comuni mortali se la vedono brutta e una buona metà dei non comuni
gode nel gaudio. La crisi che tutti subiamo e di cui nessuno è responsabile. L’economia
va male per la crisi. La crisi è tale perché va male l’economia. L’economia va
male perché c’è la mafia. La mafia aumenta nei periodi di crisi.
Quell’accozzaglia di frasi fatte e tautologiche aggredì il cervello di Tonino. Era ancora di fronte
al capo, e s’accorse che per un paio di minuti buoni non aveva parlato, mentre
il suo volto si contraeva in mille smorfie e tic di disprezzo ed ovvietà.
S’alzò e andò via sbattendo la porta.
Tornato a casa, parlò con la
moglie ed il figlio della situazione. La donna si disse pronta a supportarlo
per i mesi a venire, che sarebbero stati difficili perché… beh, c’era la crisi.
I posti di lavoro erano diventati rari come i panda e forse quasi in via
d’estinzione come i panda. Tuttavia Tonino non si scoraggiò, e decise di tentare
la sorte. Scartabellò montagne di annunci impressi sui quotidiani locali e,
sorprendentemente, tra la folla di convocazioni per call-center, individuò un
paio di possibilità interessanti.
Due giorni dopo si presentò al
primo appuntamento con il capo di una società che si occupava della
manutenzione di impianti elettrici. Purtroppo, la crisi era giunta anche in
quel settore, come apprese dall’uomo che incontrò, un tipo risoluto e
grassottello come si conviene ad un vero capo.
<<Lei è laureato?>>
gli chiese.
<<No>> rispose
Tonino.
<<Ah, bene, questo è già un
punto a suo favore, signor Sabatino>> sbottò l’altro. Anche se
involontariamente, il grassoccio interlocutore gli aveva ricordato lo
scherzetto che i suoi genitori gli avevano giocato chiamandolo proprio Antonio.
<<I laureati, oggi, sono troppo specializzati e, allo stesso tempo,
troppo inesperti per lavorare sul serio.>>
<<Va bene, come le ho
detto, non sono laureato. A malapena ho preso il diploma…>> accennò
Tonino, sperando che almeno su quel titolo non ci fosse da ridire.
<<Ha esperienza nella
progettazione di impianti?>>
<<No. Nella mia precedente
azienda mi occupavo della supervisione della catena di lavoro, cioè
progettazione/realizzazione/verifica.>>
<<Quindi non è in grado di
progettare, né di realizzare, né di verificare?>> chiese l’interlocutore,
aggrottando il sopracciglio destro.
<<Ho esperienza diretta
nella verifica, ma non nelle altre fasi. Tuttavia, potrei svolgere il lavoro di
supervisore, come facevo prima..>>
<<Mi dispiace, ma non ci interessa
un supervisore. Qui sono io il supervisore. Mi occorre un progettista.
Arrivederci.>>
Perlomeno, pensò Tonino,
quell’uomo era stato deciso. Cercava una figura che egli non poteva
interpretare. Pace. Avrebbe trovato qualcos’altro. Si recò al secondo
appuntamento della giornata. Si trattava stavolta di una azienda agricola che
cercava qualcuno che si occupasse della produzione di birra. Ma gli andò di
nuovo male, perché desideravano una persona che avesse esperienza nel settore e
lui non ne aveva. Vabbè, si disse, abbiamo tentato.
I giorni successivi individuò
altri annunci e, nel farlo, si accorse che i richiami per i call-center
occupavano sempre più colonne, insieme alla pubblicità dei compratori di oro,
argento e gioie varie. Non fu affatto fortunato. Incontrò gente che richiedeva
che fosse laureato, e lui non lo era. Si presentò a uomini che lo accusarono di
essere troppo poco specializzato, e ad altri che lo additarono come troppo
vecchio (a ben quarantadue anni). Incontrò altra gente che sostenne di volere
soltanto neo-laureati, e lui non possedeva ambedue i requisiti. Conobbe datori
di lavoro che stipulavano contratti da sei mesi soltanto, con la promessa che
alla scadenza (di quanti semestri??) avrebbero valutato l’ipotesi di un
contratto più lungo (di quanto più lungo??). Per di più, le paghe che gli
furono offerte in ogni caso erano bassissime. C’è la crisi, cosa ti aspetti?
Ogni giorno tornava a casa
distrutto e disilluso. Non c’era nessuno che, sospinto dalla crisi, tentasse di
diradarla e sconfiggerla aumentando il personale, effettuando importanti
investimenti o favorendo grandi cambiamenti. Tutt’altro. Proprio nel periodo di
crisi, la grettezza delle manine imprenditoriali e politiche veniva fuori. Si
rivelava, agli occhi di Tonino, un mondo in cui si ama troppo giocare sul
sicuro, in cui alla prima scossa della terra ci si rifugia nei bunker ad
aspettare, in crisi di paura, la fine
del mondo. E lui, Tonino Sabatino, non si sentiva certo un eroe né avrebbe
agito da eroe. Il disgusto per l’agire del mondo lo aveva imbambolato; nel
disgustare, s’era fermato, dimenticando che quel ribrezzo nasceva proprio dalla
stasi. Un bel giorno decise di non cercare più niente. Si sarebbe goduto la
pensione da disoccupato fin quando durava, ed avrebbe atteso che lo Stato gli
procurasse il posto di lavoro. Spese un gruzzoletto ad iscriversi a tutti quei
partiti che sostenevano che lo Stato dovesse agire ripristinando i posti di
lavoro persi per via della crisi.
Tonino sorrise, e l’acqua che
lambiva le labbra s’increspò in piccole onde. Rimise fuori il naso per prendere
un nuovo respiro e si reimmerse nei pensieri. Qualche giorno dopo la sua rassegnazione
ad aspettare passivamente che la soluzione al suo problema scendesse dal cielo,
venne a sapere che l’azienda che lo aveva licenziato era in bancarotta. Scoprì
il motivo vero per cui i committenti non pagavano più. Praticamente, la sua
azienda era nata da soldi pubblici investiti nello sviluppo tecnologico del
territorio. L’azienda faceva parte di un gruppo di imprese che avevano ricevuto
tali finanziamenti, e l’una commissionava i lavori all’altra in modo che il
cerchio si autoalimentasse. Non avevano cercato di crearsi un mercato vero,
confidando nel finanziamento pubblico. Quando i milioni di euro pubblici erano
finiti, cioè qualche mese prima del suo licenziamento, finì anche il gioco. I
dirigenti avevano cominciato a licenziare per salvare qualcosa e soprattutto
per salvarsi loro. Tonino sorrise malignamente pensando alla massa di suoi
ex-colleghi alla ricerca di un nuovo posto di lavoro. Tuttavia, quella fuga di
notizie gli aveva fatto ripensare agli ultimi passi. Non poteva attendere uno
Stato che gli trovasse una collocazione, quando, probabilmente, parte della
crisi era scaturita proprio da uno Stato che aveva creato posti di lavoro
caduchi ed evanescenti come miraggi. Come per la sua vecchia azienda. Non
poteva. Doveva inventarsi qualcos’altro.
Con questa promessa nella mente Tonino
si tirò su. Fiumi d’acqua abbandonarono il suo corpo e la schiuma gocciolò via
dalla sua pelle. Riaprì gli occhi e la vista gli mostrò i colori contrastanti
del bagno, in cui la luce della finestra lottava con le ombre della stanza.
continua...
continua...
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