Ed eccomi. Seduto al solito caffè.
Ho finito da un po’ l'ormai classico giro. Annunci di qua, annunci di la. Chiama questo, chiama quello. Non ho
voglia di tornare a casa, non la sento più poi così mia nonostante ad
aspettarmi ci sia l’unico vero sostegno rimastomi.
Lei sarà lì, ad aspettarmi con un
sorriso sincero ma preoccupato. Magari con la camicia già pulita per domani benché
sia appena tornata dallo studio. Lui in camera sua, sui libri a preparare l’esame
di… non ricordo mai il nome. È finito il tempo in cui tornato a casa la prima
cosa, l’unica cosa, che facesse era attaccarsi alla Playstation. Ora capisce, e
qualche volta mi domando se non sarebbe meglio ritrovalo lì, alla Playstation,
incazzato col mondo, con la sua famiglia, con se stesso.
Stamattina aveva il grembiule
sporco di crema al cioccolato, se ne era versato un po’ addosso mentre riempiva
i cornetti. Lo conosco dalle elementari, compagni di banco. Ricordo che quando
temperavamo le matite con un braccio puliva il suo banco, con l’altro il mio. È
un maniaco della pulizia ma il grembiule, oggi, non l’ha cambiato.
“Sì, Gianni, grazie.”
“Ancora niente?”
Gli rispondo con un cenno. Poi
bevo il caffè. Due sorsi, perfetto, e lascio che lo sguardo perda la messa a fuoco
della tazzina mentre la ripongo sul piattino. Ho gli occhi stanchi.
“Come va a casa? Beppe?”
“Bene, bene. Studia. Ha l’ultimo
esame la settimana prossima, poi tesi e che Dio ce la mandi buona”.
“Ma sì! In quell’ambito è un po’
più facile. Si trova, si trova…”
Favola numero uno: ambiti facili.
Lui la racconta a me per mio figlio, io la racconto a lui per sua figlia.
Entrambi sappiamo che è poco più che una stronzata.
“…e poi dai, lui elettronico, lei
informatica, mal che vada mettono in piedi qualcosa insieme.”
Favola numero due: start up costo
zero. Questa ce la raccontiamo una volta io, una volta lui.
“Mi metto al tavolino col
portatile.”
“Fai pure.”
Accendo il PC, avvio internet.
Prima pagina: uno si ricandida, l’altro lo accusa, lui risponde all’accusa
sollevando un mega scandalo, l’altro gli da del puttaniere, entrambi vomitano
soldi.
Foglio Excel. Aggiorniamo le
spese. Biglietto autobus, panino, due caffè. Il saldo ha ancora qualche zero
per fortuna. Faccio un sorrisetto mentre mi compiaccio di esser stato bravo come
formichina. Almeno il mio lavoro lo so fare.
Gianni abbassa la saracinesca.
“Ormai non viene più nessuno. Puoi
controllarmi le chiusure di questa settimana? domani mi tocca andare dal
commercialista.”
“Inviale sulla mail.”
Il computer. Ricordo ancora
quando ne vidi per la prima volta uno. Ero appena arrivato in azienda, saranno passati
20 anni. Quanto ho odiato il mio capo: passare dal buon vecchio registro cartaceo
ad “una banca dati molto più affidabile” diceva. Oggi. A quel tempo ce ne
faceva passare di tutti i colori. Dopo due settimane mi toccò rifare tutto il
lavoro perché al primo sbalzo di corrente saltò l’hard disk.
Ma per ogni guaio che mi procurava,
inventavo una nuova storia.
“Beppe! Vuoi sapere cosa ho
conosciuto oggi? In azienda è arrivata una scatola che risponde a tutto quello
che gli dici! Solo che non è molto bravo in matematica e allora gli ho chiesto:
quanto fa due più due e lui mi ha risposto otto! Ma quanto fa invece?”
“Quatto!”
“Bravo!”
Andò avanti così per qualche tempo,
fino a quando non gliela presentai, quella scatola. E ne fu entusiasta, tanto
da dirmi, sei anni fa, “papà, scelgo ingegneria elettronica così ti spiego
perché quella scatola di tanto in tanto dice che due più due fa otto!”
E alla laurea, sudata, mi fece “in
pratica, qualche volta, vuoi per uno sbalzo di tensione, vuoi per un po’ di
umidità, vuoi perché li costruiscono da cani, impazziscono e sparano numeri a
lotto. Dovresti giocarteli!”
Non ha mai perso la voglia di
raccontare storie, né di farsele raccontare. Ce ne scambiamo una alla
settimana, come minimo. Crescendo, sono diventate più reali, talvolta serie, altre volte piccanti per ricordarmi, con non poco imbarazzo, che mio figlio è ormai un uomo. Tutte condite con un pizzico di sarcasmo o qualche battuta a renderle divertenti.
La sua principale fonte di
ispirazione, oggi, è l’università. La mia è fallita e a cinquantun anni mi
ritrovo a cercarne una nuova. Per ora, non ho più storie da raccontare.
Sì, sì. Questo post mi è davvero piaciuto! Bravo!
RispondiEliminaRumore del cucchiaino che gira il caffè, profumo di cornetti caldi farciti al cioccolato, nessuna intenzione di guardare le notizie in prima pagina e voglia di farmi raccontare la prossima storia ;)
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