Caro amico, la storia
di Atlas finalmente continua. E serve un piccolo disclaimer che, mio
malgrado, un po' spoilera, ma le regole, so' regole.
1 – Ogni riferimento
a persone realmente esistite o fatti realmente accaduti è
assolutamente involontario.
2 – Sono contenuti
passi che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni e/o sono
riservati ad un pubblico adulto. Continuando la lettura,
dichiarate di essere maggiorenni liberando gli autori da ogni
responsabilità.
Fui costretto a fermarmi. Ordinai ai tre mitraglieri di posizionarsi nelle case adiacenti all'uscita nord di quel vicolo. Un altro quarto di miglio verso sud e saremmo arrivati nella zona di atterraggio dell'elicottero per l'estrazione.
<< Qui è il
sergente Cole, abbiamo un uomo a terra. Un cecchino ci impedisce di
proseguire. Richiedo soccorso immediato! passo... >>
<< Signore,
l'elicottero è già partito. La logistica non ha previsto squadre di
supporto. passo... >>
Eravamo soli, con poche
munizioni e una dozzina di talebani che presto ci avrebbe raggiunto.
L'unica opzione era far fuori quel cecchino. Chiesi al soldato
all'altro capo della radio di restare in attesa, indicai al
granatiere di lanciare un fumogeno alla fine della strada. Un
improvviso punto rosso sul visore termico svelò la posizione del
cecchino mentre colpiva in pieno la sedia che gettai all'interno del
gas.
<< Faccia
avvicinare l'elicottero dal lato est, fuoco al terzo piano
dell'edificio. Poi entriamo e neutralizziamo l'obiettivo, passo... >>
Passarono alcuni
secondi, l'operazione andava convalidata,
<< Ricevuto,
signore. L'elicottero arriverà fra tre minuti. >>
La guerra mi ha ridato
la vista, ma avrei preferito restare cieca dalla vendetta e
dall'odio. Più uccidevo e più mi rendevo conto che l'unica
differenza fra la carne che colpivo e quella di mio padre e mio zio,
morti sotto le macerie delle torri, era la mente a guidarla. Una
mente comunque umana.
Eravamo bloccati in
quella strada da qualche minuto, uno dei miei compagni era stato
ferito. Il nostro capo squadra era stato promosso da poco, non tutti
si fidavano: da chi diceva che sarebbe stato meglio se avesse fatto
l'ambasciatore, a chi lo tacciava di essere il figlio raccomandato di
un generale. Ero alla mia terza missione, avevo paura. Tutti
l'avevamo e in quel momento ogni pregiudizio sembrò sparire. Gli
occhi ne tradivano la preoccupazione, ma il sergente era determinato a farci uscire di
lì vivi.
<< Soldato Lewis,
con me! >>
Strinsi l'M4. Sarei
dovuta entrare nell'edificio. In due, in silenzio. Con altre dieci
vite sulle nostre spalle. Sentii il flebile rombo di un elicottero in
lontananza, un istante dopo sibili e decine di vetri andare in
frantumi. Abbassai la maschera sul mio viso, un altro fumogeno.
Nessun pensiero, solo il mio respiro e il peso delle armi sulle mie gambe.
Interruppi la corsa sbattendo contro il portone, la prima tappa. Il
sergente Cole era ad un passo di distanza. Sparai sulla serratura,
lui spalancò con un calcio. Osservai l'ingresso, “libero!”,
scale, “libero!”, pianerottolo, scale, “libero”,
pianerottolo. “Ferma!” tuonò il sergente. Voltai lo sguardo sui
miei passi, una delle porte si stava aprendo. Due occhi pieni di odio puntarono l'arma verso di me. Avevo il fucile in braccio, pronto
a sparare, ma non feci fuoco. Non ci riuscivo. Non avrei potuto. Poi un colpo esplose
dalla serie di scale più in basso. Il sergente lo uccise. Avrà
avuto 11 o 12 anni. Una mano coprì i miei occhi prima che vedessero
il suo corpo accasciarsi al suolo.
<< Avanti,
Janice, avanti! >> parole che pretendevano invano di mantenere
alta la concentrazione, non so se la mia o quella di chi le
pronunciava.
Corsi barcollando fino
alla stanza del cecchino. Era stato colpito da uno dei proiettili
dell'elicottero. Il sergente Cole guardò la macchia di sangue ormai
estesa sul pavimento.
<< Cecchino
neutralizzato – disse alla radio con voce sempre più flebile e
rotta – procedere verso il punto di estrazione. >> poi cadde
in ginocchio conscio di aver ucciso un bambino e che in quella stanza
non avrebbe ottenuto alcuna redenzione.
Non cenai. Vomitai due
volte, acqua. Chiesi al generale di avvisare Claire, non volevo
parlarle. Ero terrorizzato dal sentire la voce di mio figlio
chiamarmi o anche solo ridere. Stavo davvero proteggendo lui e il
suo futuro? In oltre un anno avevo visto decine di bambini soldato
mutilati o uccisi. Mi raccontavo che non volevo la stessa sorte per
Samuel, che a quell'età dovevo garantigli gioco, istruzione e ancora
gioco. E che l'unico modo per farlo era combattere fino all'ultimo una guerra iniziata con uno degli atti terroristici più crudeli della storia, in casa nostra. Che quelli non erano bambini, ma nemici come gli altri, istruiti e pronti al sacrificio pur di uccidere. Fino a quel momento, però, non ero mai stato io a
premere il grilletto.
Era notte fonda quando
mi chiese di entrare. Eravamo gli unici svegli, oltre le sentinelle.
Non ero sicuro di volerla vedere.
<< ...ho visto la
luce accesa, vorrei parlarle. – non sapevo esattamente cosa gli
avrei detto, ero viva grazie a lui e per colpa sua continuavo a
rivedere quell'attimo – Se la disturbo... >>
<< No... no.
Entri pure. >> mi interruppe lentamente.
Era seduto su uno
sgabello. Un bicchiere d'acqua in mano, pieno. Lo sguardo era basso,
fisso sulla lanterna da campo. Sospirò, e si alzò voltandosi verso
di me.
<< Puoi parlare
liberamente, non sono in vena di gradi e formalità. >>
Era già capitato che
ci parlassimo senza convenevoli, lo permetteva a tutta la squadra
quando possibile, pensava creasse coesione successivamente, sul
campo. Esitai un attimo.
<< Volevo dirti
che il caporale Willis sta bene, l'intervento è riuscito. Sarà in
congedo per un po'... e... mi dispiace. >>
Tratteneva con
difficoltà le lacrime. Aveva solo 21 anni e qualunque motivazione
l'avesse spinta ad arruolarsi era stata di colpo cancellata. E a
cancellarla ero stato io, assieme alle mie, assieme a quella vita.
Non riuscii a dirle nulla. Mi limitai ad un cenno con la testa... poi
fu sola rabbia, un bicchiere scaraventato a terra e un urlo
soffocato.
<< Non avevo
scelta! sai che non avevo scelta?! dov'è la scelta? uccidere un
bambino o lasciare che uccida te e altre 10 persone? che scelta è?
sono entrambe sbagliate, tutto in questo posto di merda è sbagliato!
>>
Era distrutto. Provai
ad avvicinarmi. La mia mano sulla sua spalla divenne presto un
abbraccio.
<< Non avresti
dovuto vedere nulla di tutto questo, Janice, né tu né nessun altro.
Non c'è alcuna ragione... >> si bloccò ancora.
<< Atlas, io...
>>
Non so se sapesse più
chi fossi, io l'avevo dimenticato. Avevo dimenticato ciò che era
successo, il motivo per cui ero lì, dove mi trovavo. Ignoravo i
colpi in lontananza, i bagni di sangue che c'erano stati e che
sarebbero continuati. Stavo male e l'improvviso calore delle sue
labbra sulle mie, chiunque egli fosse, leniva quel dolore. Risposi
con forza, aggrappandomi alle sue spalle. Sentivo le sue mani
esplorare i miei fianchi e mi ritrovai a stringere i suoi. Non potevo
aspettare, dovevo sentirmi viva, subito. Infilai una mano nei suoi
pantaloni, mentre con l'altra li sbottonavo. Un suo braccio mi
strinse più forte, l'altro scese ancora e sentii le sue dita
bagnarsi mentre, decise, accrescevano il mio desiderio. Lo spinsi su
quello sgabello, le nostre labbra si separarono per pochi, troppi,
istanti. A difendermi rimase solo una maglietta, aprii le gambe sulle
sue e lasciai che entrasse dentro di me. Brividi mi attraversavano ad
ogni spinta, mentre le sue mani possedevano le mie gambe, i miei
fianchi, i miei seni, ogni centimetro di pelle e i nostri respiri non
smettevano di unirsi affannati. Poi sentii un forte calore invadermi.
Ero viva.
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