venerdì 16 maggio 2014

Atlas - Capitolo I

“Quant’è buono l'odore dell'erba” pensò mentre muoveva un pupazzo davanti a quegli occhioni sorridenti.
Era una mattina piovosa ma calda e l'impatto di ogni goccia aumentava quel profumo. Sedeva in veranda con suo figlio su una gamba, aspettavano la colazione. Lui dalle sue mani, il bimbo dal suo seno.
Volse lo sguardo verso l'albero, lo stesso attorno al quale molti anni prima giocava, e ricordò il tempo passato ad osservarne le radici affondare nel terreno, giorno per giorno, punto per punto, dalla più grande alla più piccola. E ricordò ancora di quanto quello studio si rivelò del tutto inutile mentre rincorreva la figlia della vicina. Piede. Radice. Profumo dell'erba. Forte dolore al ginocchio. Urla di suo padre.

Il ricordo di un passato che, nonostante le difficoltà, lo faceva sempre sorridere. Non conobbe mai sua madre, ma suo padre si diede sempre un gran da fare. Prima da solo, poi con la vicina. Era un po' burbero, meticoloso, esigente. Un vero generale dei Marines. Ma non di quelli che si vedono nei film, che ti educano a suon di ordini e signor sì, che possono essere odiati solo dai figli impressi su di una pellicola distante anni luce dalla realtà degli spettatori. Era un padre che ne aveva vissute tante, coi suoi pregi e i suoi difetti, e che trovò nel bene di suo figlio la forza di andare avanti e il ricordo di sua moglie. Un padre di cui non era certo un male seguirne le orme.
Ai diciotto anni di suo figlio sorprese tutti regalandogli la casa. Decise di andare a vivere dalla vicina. E così, da quella porta, uscì un uomo ed entrò una donna. E cominciò nuovamente il rincorrersi. E col rincorrersi, le cadute. Non più sull'erba.

Ricordò il suo primo bacio. Si erano presi una di quelle pause adolescenziali dallo studio durante le quali parli per ore ed ore con lo sguardo attento a scrutare quel magico luogo ubicato fra la punta del proprio naso e la pagina di un libro sempre e solo aperto. Un discorso partito, come sempre, dai pettegolezzi sui compagni di classe e sfociato in un excursus di reciproche lamentele su quanto il mondo facesse schifo per non si sa quale ragione. Quel pomeriggio, però, c'era un bel sole che pian piano si avviava al tramonto e lei sfiorò la sua mano rispondendogli «...hai ragione, so cosa provi...».
E lui, che dentro quel castello di lamentele e motivazioni insensate nascondeva puro e semplice desiderio, le disse «No, non lo sai!», le afferrò quella mano che un attimo prima lo sfiorava e con uno slancio si avvicinò alle sue labbra e la baciò. Si legge e si parla di farfalle nello stomaco, ma santo dio non rende proprio! Il primo bacio è un alleluia di bestemmie nello stomaco! un momento in cui il cervello non fa altro che interpretare messaggi che lui stesso crea e mischia da non si sa bene quali sensi, un momento in cui non è che non ti frega niente del mondo, non ci sei proprio più nel mondo, ma nemmeno te ne ricordi il concetto. Fortuna che a tenerti ben saldo al suolo sono le sue labbra sulle tue, il suono caldo di due respiri in uno.
«Si che lo so!»

Qualche mese dopo ne parlarono ai rispettivi genitori che, stando a rivelazioni successive della vicina, già sapevano tutto. Fatto sta che quel giorno, nonostante fossero ognuno a casa propria, le urla furono sufficientemente alte da concordare la punizione di una settimana senza uscire di casa. Settimana durata meno di due giorni perché quella stessa punizione si riflesse sul rapporto fra il generale e la vicina: i due parlarono un intero pomeriggio, chissà che si dissero, e la cena fu silenziosa ma con la famiglia di nuovo unita.

L'aumentare della pioggia sollevò anche un po' di terra e portò i ricordi alla prima strisciata sotto il filo spinato. L'aria era secca quel giorno e la polvere nel naso faceva vacillare la determinazione del neo arruolato. Una decisione che il generale non accettò mai sul serio, troppo preoccupato per l'incolumità di suo figlio, al punto da addestrarlo spesso di persona e ben più severamente degli altri cadetti nella speranza che mollasse. Ma il ragazzo sapeva il fatto suo: era un ottimo tiratore, si allenava quotidianamente e il desiderio di lottare per un futuro migliore, così tentavano invano di inculcargli, era affiancato da studi privati in ambito socio-culturale e umanitario. La sua era voglia di aiutare, sul campo, ma dialogando prima e, possibilmente, soltanto. Il generale, che ne aveva viste e vissute proprio tante, lo sapeva e probabilmente fu questo ad impedirgli di far ricorso al suo grado per opporsi alla decisione del figlio.

La pioggia tornò a calmarsi e i profumi si addolcirono nuovamente. Passò davvero molto tempo prima di arrivarci. Un po' per l'occhio particolarmente attento e restrittivo del generale e della vicina, un po' per una voglia di procedere con calma, inusuale per due adolescenti. Il padre era in missione da qualche settimana, la vicina a lavoro. Pranzarono abbracciati su un telo steso sul prato. I loro corpi, cresciuti insieme, si conoscevano centimetro per centimetro e l'attrazione rivelatasi da quasi un anno, ne segnò la totale riscoperta. Si erano accarezzati, si erano toccati e baciati ovunque. Quel giorno però, c'era imbarazzo. Erano ancora vestiti e c'era imbarazzo. Non accadde nulla. I baci scoppiavano in risate.
Quella notte lei rubò le chiavi dalla borsa di sua madre, aprì la casa del generale, si infilò nel letto e fecero l'amore.

«Atlas! la colazione è pronta!»
New York, 10 Settembre 2001

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