Aspettavo da qualche
giorno questo momento. Trovarmi nella precisa condizione in cui non
mi sarebbe stato possibile fare nulla se non fare tutto. Nella vita,
caro amico, si è sempre impegnati, ce lo siamo detto qualche giorno
fa. Scriviamo in inglese, articoli universitari firmati da altri,
trattati filosofici sui massimi sistemi … dell'informatica.
Poi qualcuno ti chiede
“ehi ma perché non scrivi più? Non abbandonare!” (scusa il
riassunto). Non ho mai abbandonato, non credo ne sarei in grado.
Aspettavo. Aspettavo un
progetto che necessitasse di internet per essere programmato e
testato. Aspettavo una tratta ad alta velocità sufficientemente
antiquata da non prevedere connessione WiFi. Aspettavo un'idea che
sta tardando ad arrivare, ma non è importante perché quando si ha
davanti una pagina bianca basta iniziare a scrivere e l'idea, forse,
arriva da sola. E se tarda troppo la soluzione la offre trenitalia,
garantendo un ritardo anch'essa. Grazie.
E adesso sono in questa
bolla su rotaie. Separato dalle catene della realtà e libero di
viaggiare. Ma dove andare? Vediamo...
Toronto.
È seduta da qualche
minuto. Sola.
Per una volta dovette
rassegnarsi al fatto di dover prenotare il tavolo. Le piaceva andare
all'avventura, esplorare nuove cucine chiedendo ai camerieri “c'è
posto per [numero a caso]?”, anche di Sabato quando chiunque le
vorrebbe rispondere di andare al diavolo ma il modo, il tono, lo
sguardo. Finiva sempre con un “certo signora, si sta liberando” -
“hai visto?” diceva lei ai detrattori; e per finiva intendo verso
le 23:00, dopo due ore passate a girare in macchina a chiedere
pressoché in ogni posto di due o tre città. Ma credo lo sapesse, è
che guidare la rilassa anche se da qualche tempo dice di no.
Ad ogni modo, per essere
lì, stasera, dovette prenotare.
L'anno prima chiusero i
ponti col proprio paese, scelsero di andare via. Nonostante l'età,
le difficoltà linguistiche. Ma non se ne poteva davvero più. Ho
detto chiusero e non tagliarono perché l'Italia a loro ma,
soprattutto a lei, piaceva. Il Canada era freddo, ventoso, piovoso e
nevoso. Per lei un inferno col segno – davanti ai gradi centigradi.
Suo figlio, ingegnere
elettronico partì qualche anno prima, poco dopo la laurea. Il volo
di andata fu vissuto come un sogno in corso di realizzazione. La
realizzazione sembrò meno simile al sogno. Cambiò lavoro tre volte
prima di trovarne uno davvero decente e ci mise un bel po' a legare
con qualcuno e ad abituarsi a quel nuovo stile di vita così … beh
non lo so così come, io non ci sono mai stato e lui non me l'ha mai
detto.
Suo marito perse il
lavoro mentre il figlio si laureava. Cercò per tanto tempo e per
altrettanto non ebbe più storie da raccontare. Fino a che, quando in
un hangout suo figlio gli comunicò di aver avercela fatta, di aver
finalmente ottenuto la cittadinanza, decise di mandare presentazione
e curriculum ad una azienda vicino Toronto. L'inglese lo masticava
decentemente, un appoggio lo aveva perciò, perché no? La risposta
non tardò ad arrivare, prenotò un aereo e rischiò.
Lei li raggiunse qualche
mese dopo. Dopo aver sbrigato l'immensa burocrazia per lasciare il
lavoro e aver continuato a lavorare senza contatto né stipendio
qualche altra settimana. A quell'azienda aveva dato tanto e ricevuto
in cambio solo rogne e un'autolesionistica voglia di continuare
perché... sì. O forse perché era terrorizzata da un cambiamento
così drastico dopo anni e anni di estenuante routine, da una lingua
del tutto sconosciuta se non per canzoni intonate su significanti
foneticamente simili ma da sempre single. E, soprattutto, dal freddo,
dal vento, dalla pioggia e dalla neve.
Guarda dalla finestra.
C'è un panorama da urlo. E anche qui, nella bolla su rotaie. Sto
attraversando una verde vallata staccata da un cielo diviso fra
grigie nuvole e azzurre schiarite attraverso colli cosparsi di pini e
vive pale eoliche. Lasciatemi interrompere un attimo il racconto per
far dono di un sincero e accorato “non capite un beneamato cazzo”
a quelli che dicono che rovinano la bellezza paesaggistica.
Dicevo...
Fa un cenno al cameriere,
poliglotta dato il ristorante. Non ha nessuna voglia di parlare un
inglese ancora, e forse per sempre, ostico. “Una bottiglia d'acqua
liscia, a temperatura ambiente”. È arrivata prima degli altri.
Oggi ha sbrigato celermente il lavoro di contabilità e
organizzazione viaggi presso la scuola di lingue dove inizialmente si
recava solo per far finta di imparare.
Ripensa a quei giorni.
Scanditi dal vorticare di ciò che in quel continente chiamano storm
inside. Il figlio lavorava come
un matto, il marito anche. Era senza una patria, senza amici, in un
paese che non riteneva possibile esistesse, alla continua ricerca di
una fregatura lì spesso
inesistente. Ma la vita
questo
le aveva insegnato. A
bastonate. Per non parlare
poi di quel bravo trombettista, il vento, accompagnato
in un trio jazz di nome
freddo, dalla pioggia alla
batteria e dalla neve al contrabbasso.
La
sua vita era il lavoro e il lavoro era la sua vita. Per il bene di
suo figlio, e negli ultimi tempi di suo marito, sia chiaro. Ma in
atto, al primo posto, c'era il lavoro. E abbandonarlo, trasferirsi
alla cieca
senza averne
uno nuovo, fu un omicidio.
Guarda
le sue mani, rugose. Le vene ancora pulsanti. “Un omicidio solo
tentato” bisbiglia fra sé.
Ci
pensarono i numeri, lingua davvero universale, e l'intraprendenza nel
proporre, alla scuola dove svogliatamente cercava di imparare, viaggi
di studio Italia-Canada a risvegliarla dal coma e riportala sul campo
di battaglia. E si riempì
ancora di ferite ma ne uscì trionfante, come sempre. E
come sempre fece tutto da sola, e non perché come nei film basta
credere in se stessi, anzi forse lei nemmeno ci ha mai creduto. “Di
lamentele,
speranza, amore, parole e buoni propositi non si vive” dice sempre.
Lei è lavoro, fatto, pragma. Punto. Questo
lui amava di lei, e suo figlio iniziava ad imparare.
Segue
con lo sguardo il cameriere, si sta muovendo verso l'ingresso. Ora
indica a due sagome ancora
nell'ombra il tavolo al quale è seduta.
Lei
sorride, beve un sorso
d'acqua ed apre un nuovo,
inesplorato, menù.
P.S.:
Un suggerimento per Thorin Oakenshield.
Erebor è sulla tratta Bari Centrale – Roma Termini.
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