venerdì 3 gennaio 2014

Un treno e una pagina bianca

Aspettavo da qualche giorno questo momento. Trovarmi nella precisa condizione in cui non mi sarebbe stato possibile fare nulla se non fare tutto. Nella vita, caro amico, si è sempre impegnati, ce lo siamo detto qualche giorno fa. Scriviamo in inglese, articoli universitari firmati da altri, trattati filosofici sui massimi sistemi … dell'informatica.
Poi qualcuno ti chiede “ehi ma perché non scrivi più? Non abbandonare!” (scusa il riassunto). Non ho mai abbandonato, non credo ne sarei in grado.
Aspettavo. Aspettavo un progetto che necessitasse di internet per essere programmato e testato. Aspettavo una tratta ad alta velocità sufficientemente antiquata da non prevedere connessione WiFi. Aspettavo un'idea che sta tardando ad arrivare, ma non è importante perché quando si ha davanti una pagina bianca basta iniziare a scrivere e l'idea, forse, arriva da sola. E se tarda troppo la soluzione la offre trenitalia, garantendo un ritardo anch'essa. Grazie.
E adesso sono in questa bolla su rotaie. Separato dalle catene della realtà e libero di viaggiare. Ma dove andare? Vediamo...

Toronto.
È seduta da qualche minuto. Sola.

Per una volta dovette rassegnarsi al fatto di dover prenotare il tavolo. Le piaceva andare all'avventura, esplorare nuove cucine chiedendo ai camerieri “c'è posto per [numero a caso]?”, anche di Sabato quando chiunque le vorrebbe rispondere di andare al diavolo ma il modo, il tono, lo sguardo. Finiva sempre con un “certo signora, si sta liberando” - “hai visto?” diceva lei ai detrattori; e per finiva intendo verso le 23:00, dopo due ore passate a girare in macchina a chiedere pressoché in ogni posto di due o tre città. Ma credo lo sapesse, è che guidare la rilassa anche se da qualche tempo dice di no.
Ad ogni modo, per essere lì, stasera, dovette prenotare.
L'anno prima chiusero i ponti col proprio paese, scelsero di andare via. Nonostante l'età, le difficoltà linguistiche. Ma non se ne poteva davvero più. Ho detto chiusero e non tagliarono perché l'Italia a loro ma, soprattutto a lei, piaceva. Il Canada era freddo, ventoso, piovoso e nevoso. Per lei un inferno col segno – davanti ai gradi centigradi.
Suo figlio, ingegnere elettronico partì qualche anno prima, poco dopo la laurea. Il volo di andata fu vissuto come un sogno in corso di realizzazione. La realizzazione sembrò meno simile al sogno. Cambiò lavoro tre volte prima di trovarne uno davvero decente e ci mise un bel po' a legare con qualcuno e ad abituarsi a quel nuovo stile di vita così … beh non lo so così come, io non ci sono mai stato e lui non me l'ha mai detto.
Suo marito perse il lavoro mentre il figlio si laureava. Cercò per tanto tempo e per altrettanto non ebbe più storie da raccontare. Fino a che, quando in un hangout suo figlio gli comunicò di aver avercela fatta, di aver finalmente ottenuto la cittadinanza, decise di mandare presentazione e curriculum ad una azienda vicino Toronto. L'inglese lo masticava decentemente, un appoggio lo aveva perciò, perché no? La risposta non tardò ad arrivare, prenotò un aereo e rischiò.
Lei li raggiunse qualche mese dopo. Dopo aver sbrigato l'immensa burocrazia per lasciare il lavoro e aver continuato a lavorare senza contatto né stipendio qualche altra settimana. A quell'azienda aveva dato tanto e ricevuto in cambio solo rogne e un'autolesionistica voglia di continuare perché... sì. O forse perché era terrorizzata da un cambiamento così drastico dopo anni e anni di estenuante routine, da una lingua del tutto sconosciuta se non per canzoni intonate su significanti foneticamente simili ma da sempre single. E, soprattutto, dal freddo, dal vento, dalla pioggia e dalla neve.

Guarda dalla finestra. C'è un panorama da urlo. E anche qui, nella bolla su rotaie. Sto attraversando una verde vallata staccata da un cielo diviso fra grigie nuvole e azzurre schiarite attraverso colli cosparsi di pini e vive pale eoliche. Lasciatemi interrompere un attimo il racconto per far dono di un sincero e accorato “non capite un beneamato cazzo” a quelli che dicono che rovinano la bellezza paesaggistica.
Dicevo...

Fa un cenno al cameriere, poliglotta dato il ristorante. Non ha nessuna voglia di parlare un inglese ancora, e forse per sempre, ostico. “Una bottiglia d'acqua liscia, a temperatura ambiente”. È arrivata prima degli altri. Oggi ha sbrigato celermente il lavoro di contabilità e organizzazione viaggi presso la scuola di lingue dove inizialmente si recava solo per far finta di imparare.
Ripensa a quei giorni. Scanditi dal vorticare di ciò che in quel continente chiamano storm inside. Il figlio lavorava come un matto, il marito anche. Era senza una patria, senza amici, in un paese che non riteneva possibile esistesse, alla continua ricerca di una fregatura lì spesso inesistente. Ma la vita questo le aveva insegnato. A bastonate. Per non parlare poi di quel bravo trombettista, il vento, accompagnato in un trio jazz di nome freddo, dalla pioggia alla batteria e dalla neve al contrabbasso.
La sua vita era il lavoro e il lavoro era la sua vita. Per il bene di suo figlio, e negli ultimi tempi di suo marito, sia chiaro. Ma in atto, al primo posto, c'era il lavoro. E abbandonarlo, trasferirsi alla cieca senza averne uno nuovo, fu un omicidio.
Guarda le sue mani, rugose. Le vene ancora pulsanti. “Un omicidio solo tentato” bisbiglia fra sé.
Ci pensarono i numeri, lingua davvero universale, e l'intraprendenza nel proporre, alla scuola dove svogliatamente cercava di imparare, viaggi di studio Italia-Canada a risvegliarla dal coma e riportala sul campo di battaglia. E si riempì ancora di ferite ma ne uscì trionfante, come sempre. E come sempre fece tutto da sola, e non perché come nei film basta credere in se stessi, anzi forse lei nemmeno ci ha mai creduto. “Di lamentele, speranza, amore, parole e buoni propositi non si vive” dice sempre. Lei è lavoro, fatto, pragma. Punto. Questo lui amava di lei, e suo figlio iniziava ad imparare.

Segue con lo sguardo il cameriere, si sta muovendo verso l'ingresso. Ora indica a due sagome ancora nell'ombra il tavolo al quale è seduta.
Lei sorride, beve un sorso d'acqua ed apre un nuovo, inesplorato, menù.



P.S.: Un suggerimento per Thorin Oakenshield. Erebor è sulla tratta Bari Centrale – Roma Termini.

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