Caro amico... ti rispondo.
Non posso nasconderti l'enorme piacere che mi ha donato il tuo messaggio, ed al contempo quali sentimenti malinconici esso abbia evocato.
Purtroppo hai ragione. Ci sono stati tempi in cui abbiamo vergato pagine e pagine di idee, personaggi, storie, da quelle drammatiche a quelle grottesche, che un po' rappresentavano il nostro modo di essere. Sensibili, attenti, ma pur sempre pronti al gioco, all'ironia, al sarcasmo, al cinismo, al realismo "da taverna" oserei dire, per richiamare al lettore quell'analisi della realtà che viene eseguita tra un boccale di birra, un bicchiere di vino e un bel piatto d'arrosto.
Come ben sai, da quando sono andato all'estero tutto è cambiato. Ci si sente di meno, ci si incontra di meno per l'ostacolo geografico (diciamo che le Alpi fanno interferenza) e si scrive di meno. Stare fuori casa, dover parlare un'altra, anzi due altre lingue e non l'amato italiano, lavorare in un'altra lingua ancora e cioè l'inglese, non aiutano le parole a mantenere la propria fluidità, a comporre quei rivoletti di frasi che in passato hanno macchiato le nostre pagine; a volte con pensieri ordinati, altre volte con scarabocchi comunque divertenti. Non ti nascondo che faccio quasi fatica a scrivere queste righe. Ma condivido appieno il tuo suggerimento. Proviamo ad uscire da questa situazione (da qualcuno chiamata "il blocco dello scrittore, da altri, soprattutto i messicani, "stallo alla messicana", dal sottoscritto "situazione del c....") insieme.
Tiriamoci l'uno con l'altro, ed ammazziamo le distanze, la geografia, le Alpi, il tempo, le altre lingue parlate pensate scritte lavorate, per tornare a comporre storie come si faceva una volta. Tra un boccale di birra, un bicchiere di vino e un bel piatto d'arrosto.